La giusta integrazione tra segmentazione e posizionamento è il percorso ideale per raggiungere l’innovazione nel settore agroalimentare. Andiamo a vedere perché questi due aspetti sono fondamentali per la grande distribuzione e la vendita al dettaglio.
Per prima cosa bisogna dire Segmentazione e Posizionamento sono due fattori complementari e insieme funzionali all’innovazione di settore.
Il comparto agroalimentare quindi dà spazio a nuovi prodotti e tecnologie poiché guidato dalla domanda, che a sua volta è la prova del nove dell’offerta. Ecco perché il campo del Food è spinto a una costante innovazione alimentare per riuscire a stare dietro al comportamento di un consumatore sempre più esigente, critico, curioso, volubile, imprevedibile e attento alle novità.
Di conseguenza, per trovare la sua fetta di mercato, l’offerta deve essere capace di tenere testa a una domanda sempre più segmentata e differenziata. Nonostante l’Eurostat non includa l’industria alimentare nel novero degli ambiti produttivi a base scientifica, alcuni dati provenienti da una stima di Federalimentare – ISMEA del 2004, ci dicono come le scelte d’acquisto alimentano e supportano la tendenza del mercato alla novità.
Infatti secondo la valutazione il 65 % del fatturato è dato dalla produzione tradizionale classica, di cui il 35% è relativo ai prodotti non propriamente tradizionali, del quale è molto interessante la suddivisione in percentuali:
_ il 9% prodotti di denominazione e di origine;
_ l’1% prodotti biologici;
_ l’8% nuovi prodotti (novel food);
_ il 17% prodotti tradizionali evoluti (migliorati attraverso sperimentazione scientifica).
Tra questi, i prodotti di denominazione, i biologici e di origine si riferiscono a un miglioramento relativo alle modalità di comunicazione al consumatore, ovvero il cambiamento negli aggiornamenti e adeguamenti del prodotto a modifiche di legislazione alimentare e merceologiche (disciplinari, certificazioni, controlli, etichettature, tracciabilità, confezionamento…).
Sempre nella stessa ricerca (Federalimentare – ISMEA 2004) i prodotti a elevato contenuto di tecnologia, come i Functional Food, vengono definiti come un segmento altamente dinamico e in forte crescita mondiale. In quegli anni si parlava di prospettive di cambiamento che avrebbero portato in futuro:
_ un aumento di presenze di prodotti innovativi all’interno dei Food Market;
_ una produzione di settore radicalmente migliorata nella tecnologia.
Questo ci fa intendere che in quel periodo l’innovazione risultava discontinua ma tendente al cambiamento grazie a esperimenti dai risultati (tecnologico-produttivi) positivi. Ma nulla andava oltre il tentativo o il “prototipo ottimizzato”. Altri segnali di un intento innovativo provenivano dalla politica comunicativa volta al cambiamento e dall’approccio educativo-informazionale che era usato nel rapporto con il consumatore.
Insomma, una lenta evoluzione di settore dal carattere multidisciplinare: l’introduzione di nuove tecnologie e terminologie, l’uso dei neologismi e la creazione di nuove denominazioni, scaturite da attività di ricerca edita su riviste di settore o pubblicazioni scientifiche.
Andando ancora a ritroso, nel 2002 Harmsen et al. individuava tre direzioni possibili che avrebbe potuto prendere il settore agroalimentare, individuando tre scenari in base ai quali, in futuro, il consumatore avrebbe scelto tra potenziali opportunità tecnologiche di mercato.
Comportamento del consumatore:
_ naturalness o naturalità (atteggiamento tecno scettico);
_ tecnology – driven health o funzionalità (atteggiamento tecno ottimista)
_ tight-spending o convenienza (prezzo e tempo), atteggiamento tecno-opportunista.
Da questi, in base allo stesso studio, dipendono tre scenari possibili di produzione o il successo di mercato di tre tipologie di prodotto, preannunciate dall’andamento della domanda precedentemente illustrata nei comportamenti individuati:
_ naturalità: prodotti biologici e a denominazione d’origine o tipici;
_ funzionalità: functional food (“cibo funzionale”);
_ convenienza: convenience food (”cibo conveniente”), anche detto tertiary processed foods (es. “tradizionale evoluto”).
Le tre assi sono diventate poi le 3 direzioni lungo le quali si è mossa col tempo la domanda, subentrando al consumo tradizionale. Una sorta di co-evoluzione che ha operato in un food space: una porzione di mercato ottenuto dall’insieme delle opzioni di soddisfacimento dei bisogni tecnologicamente possibili. In quest’ottica l’innovazione è una conquista.
Ma ancora frammentaria, poiché la molteplicità delle nuove soluzioni era vista come intermedia, una tappa conquistata in un percorso di crescita e miglioramento. Così le tecnologie sarebbero state capaci di modularsi secondo le esigenze dei consumatori, individuando volta per volta nuove tendenze.
Le varie innovazioni nel 2004 avevano un filo conduttore che le riuniva: la modularità. Concetto all’epoca già utilizzato in più settori produttivi, secondo il quale il cambiamento e la crescita settoriale avrebbero aperto scenari talmente nuovi da ipotizzare un’era della modularità scaturita e facente parte di un continuum. Un miglioramento costante che oggi è univoco, non più frazionato né sporadico o relegato alla fortuna di un caso isolato. Bensì, una realtà concreta e tangibile nell’esperienza di acquisto di tutti i giorni. Ecco spiegata l’utilità di raccontare questa realtà.
Innovazioni alimentari: una filiera all’avanguardia.
Il miglioramento è a monte. Di norma se si lavora bene allo start di filiera, rispettando i principi igienico-sanitari, contenendo i consumi economico-energetici e qualsiasi tipo di risorse, allora di sicuro si avrà un prodotto perfetto per qualità e per quantità.
Ma vediamo cosa succede quando, questo concetto, abituati come siamo a riferirlo a termini come “prodotto” e “produzione”, lo estrapoliamo dai classici ambiti produttivi e lo inseriamo nella straordinarietà di un contesto innovativo: insolito e promettente.
Una buona notizia, nel mondo e nel nostro paese di contesti del genere ce ne sono di vincenti.
AGRICOLUS SRL
Ce n’è per tutti gli scopi, interessi e per qualsiasi processo produttivo. Se dovessimo parlare di controllo qualità e produzione vegetale è d’obbligo tirare in ballo AGRICOLUS S.R.L. star up tutta italiana che lavora a stretto contatto con l’agricoltura di precisione, cresciuta all’esperienza internazionale di ricerca e analisi, oggi affermata nel mercato delle applicazioni utili alla gestione agricola.
Si propone di supportare i coltivatori e tutti gli operatori del “mondo agricolo” nell’ottimizzazione delle pratiche agronomiche attraverso l’esperienza e la competenza di cui dispone integrata alle più moderne tecnologie di raccolta, analisi e gestione dei dati.
3BEE HIVE-TECH
Oppure, passando alla particolare produzione di una sostanza alimentare dalla duplice natura, unica nel suo genere come il miele, viene da pensare all’innovativo sistema di monitoraggio per apicoltura: 3bee Hive-Tech.
Si tratta di un dispositivo di controllo alveari da remoto, tramite l’utilizzo di una semplice App gestita da device. In sostanza Hive-Tech permette di interpretare e monitorare a fondo i bisogni delle api registrandone peso, temperatura, umidità, suoni e odori. La tecnologia è leggera, non crea alcun fastidio alle api ma soprattutto è facilmente trasportabile e adattabile a qualsiasi tipo di arnia. Risvolto eco-sostenibile, il dispositivo è auto-alimentato grazie all’energia solare.
NUOVI TIPI DI SERRE
Ora addentriamoci nel campo. Ma se invece di campo o terreno aperto, si parlasse di serre verticali prive di terra, totalmente asettiche e riscaldate a LED?
Sicuramente ci si riferisce al sistema produttivo delle aero farms o hydroponic farm (produzione idroponica), il quale mette a disposizione delle realtà commerciali serre particolari, in formato verticale, chiamate growbox.
Queste serre sono capaci di rendere autonoma nella produzione di qualsiasi tipo di germoglio (verdura e ortaggi non troppo ingombranti in altezza e larghezza) qualsiasi catena di distribuzione organizzata che ne volesse fare l’attrattiva commerciale dei propri punti vendita.
Attività di auto-produzione molto in voga negli USA, diffuso a macchie di leopardo nel nostro continente e che sta emergendo con le dovute tempistiche nella GDO nazionale. Questa tecnologia è capace di generare vantaggi di varia natura.
Primo fra tutti, il contenimento delle spese:
_ bassi consumi di corrente elettrica dovuto al tipo di lampada a luce fredda (si ha un risparmio del 75% sui consumi di corrente elettrica);
_ netto risparmio di acqua (viene erogata sotto forma di microgocce, cioè viene nebulizzata secondo un piano di irrigazione ben calcolato in base ai fabbisogni della pianta e localizzato nell’area radicale, inoltre è un flusso riciclabile e auto-depurante);
_ ammortamento dell’investimento dovuto al ritorno in liquidi provenienti dall’impostazione degli introiti di sistema (auto-produzione).
Inoltre, l’assenza di terra e l’utilizzo di un substrato sintetico per la struttura idroponica e la sola presenza di acqua per quella aeroponica, insieme ad altri fattori, caratterizza il particolare allevamento delle piante:
_ sfruttare lo spazio verticale evitando di occupare eccessiva superficie nella corsia di riferimento;
_ creazione di un habitat asettico e controllato: parametri vitali gestiti da tecnologia digitale, rischio di malattie e infestanti ridotto a zero grazie a un ambiente di crescita totalmente isolato dall’esterno e un sistema di areazione a circuito chiuso e continuo autogestito.
Un esempio di auto-produzione vegetale è l’idroponica Tomato+, una serra per interni completamente automatizzata, che per le sue caratteristiche tecnologico-strutturali e dimensioni ridotte ben si presta in ambienti come quelli di un supermercato di catena o punto vendita al dettaglio.
Questo strumento tecnologico si pone l’obiettivo di essere una fonte sostenibile rispettosa dell’ambiente nella produzione di verdure ed aromi freschi per i pasti di tutti i giorni. Si differenzia dalle normali growbox grazie ad una serie di automatismi che permettono di creare dei microclimi indipendenti per ogni tipo di coltivazione scelta.
L’innovazione alimentare non è soltanto dal punto di vista tecnologico, ma anche nell’essere rispettosa dell’ambiente nelle sue peculiarità a basso impatto ecologico. Facendo un paragone con l’agricoltura a cui siamo abituati, che occupa migliaia di metri quadri di superficie e che sfrutta in modo intensivo il suolo, depauperando tutte le sue risorse nutritive.
Oppure avvelena il terreno e inquina le falde acquifere per il necessario utilizzo di fertilizzanti, anticrittogamici e antiparassitari per nutrire e difendere le colture.
Con le novità di filiera del food non solo si riduce l’inquinamento ma si migliora la qualità facendo del vero km 0 che ha una buona prospettiva in fatturato.
LO STAGIONATORE
Poi volendo passare, allo step successivo di trafila, dalla materia prima alla sua trasformazione come i processi di frollatura delle carni, di stagionatura dei salumi e affinamento dei formaggi è diretto il collegamento con Lo Stagionatore, armadio refrigerato specifico per i prodotti artigianali interamente sviluppato e prodotto in Italia.
Con allestimento Carne e Formaggi sfrutta al massimo lo spazio disponendo i prodotti su più livelli grazie a solide griglie. Potendo portare a maturazione le carni precedentemente rese tenaci dal rigor mortis, si conferisce al prodotto qualità, gusto unico e una consistenza morbida.
Così facendo la carne si trasforma in un ambiente sicuro a temperatura (0°C E 3°C) e umidità controllate (attorno all’ 80%). Ed è anche possibile affinare il formaggio, portandolo ad una qualità superiore e a un gusto esclusivo attraverso la stagionatura.
Gli armadi frigorifero sembrano essere la prospettiva di una futura autosufficienza, per i comparti GDO e Retail, nella produzione di taluni prodotti.
Grilli per la testa, farfalle e carne in vitro nello stomaco: il panorama del Novel Food.
Secondo la misura transitoria del Regolamento (UE) 2015/2283 sui “novel food”, in Italia non è stata ancora ammessa la commercializzazione di insetti come alimento o suo derivato. Potrà essere consentita solo quando sarà rilasciata a livello comunitario una specifica autorizzazione in applicazione del regolamento (UE) 2015/2283. Ma lasciamo la giurisprudenza agli esperti del foro e concentriamoci sui prodotti innovativi del Food.
CRICKÈ
Si tratta di un’azienda italiana con sede a Londra, che un po’ per novità, vuoi per una sorta di rottura del canone alimentare (rigido, tradizionale e difficile da cambiare per la bontà e qualità delle tipicità) ha fatto notizia diventando la moda di eventi ed happy hour esclusivi, pubblicizzando e promuovendo il suo prodotto di punta: Le Crickelle.
Si tratta di cracker fatti con farina di grilli, sesamo e olio di oliva. Un’idea vincente sotto tutti i punti di vista. Non solo per la novità, ma anche per la qualità dei dibattiti che solleva, toccando argomenti come: cultura alimentare, nutrizione, sostenibilità ambientale, economia circolare, alternative alimentari possibili… Chi ne ha più ne metta. Ma la linea a base di grillo “saltella un po’ di qua e un po’ di là”, offrendo alternative al prodotto salato da forno. Ci sono frollini di avena, miele e grillo, oppure farina di ceci, grillo e rosmarino usati per chips croccanti e irresistibili. Ma, l’aspetto più interessante è quello qualitativo, il grillo è un prodotto:
_ ricco di proteine, con un valore del 69% (quantità sul peso secco) che è il doppio della carne bovina;
_ nutrizionalmente equilibrato: ricco di vitamine, di fosforo, ferro (hanno il 15% in più di ferro rispetto agli spinaci) e potassio e contengono la stessa quantità di B12 del salmone;
_ inoltre il gusto dell’insetto ricorda quello della nocciola o della frutta secca in generale.
Il primo valore fra tutti della Mission Aziendale è la sostenibilità ambientale. Perché allevare grilli richiede una quantità irrisoria di risorse naturali e spazio, rispetto a quelle necessarie per produrre carne. Con emissioni di gas serra ridotte di 100 volte.
Nella GDO c’è già chi ha puntato l’occhio su questo tipo di prodotto: in 300 supermercati Carrefour spagnoli è già stata lanciata una linea a base di insetti.
CYBER MEAT
Invece, il futuro della carne è in vitro, con la produzione della Cyber Meat o “carne sintetica”… Non stiamo parlando del plot di Black Mirror… Ma di una frontiera alimentare, un programma di ricerca finanziato da Bill Gaets e di casa nella Silicon Valley.
Per la precisione, si tratta di un progetto sperimentale partito nel 2013 (anno del primo test) con l’intento di trovare un’alternativa sostenibile agli allevamenti intensivi di carne. Gli allevamenti bovini sono responsabili del 18% delle emissioni totali, del consumo dei ⅔ dei campi coltivati, dell’impiego del 50% degli antibiotici prodotti.
Poi, se a questi dati si aggiungono quelli provenienti dagli allevamenti di altre tipologie di animali (da latte e da carne) la situazione si complica ed è preoccupante. Basti pensare che per produrre una bistecca si consumano mediamente 700 litri di acqua.
Per queste premesse e tenendo in considerazione il “welfare” degli animali, il team di ricerca ha deciso di approfondire la metodologia produttiva che consiste nella produzione di hamburger e carne tritata creati dal prelievo di liquido amniotico presente nelle cellule staminali.
Con questo metodo è possibile ricreare in laboratorio il quantitativo di carne necessario al sostentamento della popolazione mondiale reale, al netto degli eccessi. Stando alle previsioni il lancio del prodotto nelle grandi catene (carne artificiale con lo stesso sapore e proprietà di quella naturale ) è previsto per il 2020.
FUNGHI ESPRESSO
Con il kit funghi espresso la sopravvivenza in un futuro incerto è assicurata. Nel 2013 si è dato inizio al caso studio sul riutilizzo del fondo di caffè in agricoltura, presentato all’interno dello showroom “Il gusto di un caffè sostenibile”.
Dal caso studio, il Centro di Ricerca Rifiuti Zero, con la collaborazione di Antonio Di Giovanni (membro del team operativo), ha realizzato il progetto pilota di educazione ambientale “Dal caffè alle proteine”, utilizzando come substrato proprio il fondo di caffè.
In seguito a questa sperimentazione, l’incontro tra Antonio Di Giovanni (agronomo) e Vincenzo Sangiovanni (architetto) ha dato vita all’avventura di Funghi Espresso. Quest’azienda si propone di raccogliere “una risorsa tutta italiana” come il fondo di caffè (soltanto in Italia esistono 110mila bar che producono ogni anno circa 300mila tonnellate di scarto): agli occhi degli imprenditori un’ottima materia prima su cui fare business.
Loro “valorizzano quello che altrimenti diverrebbe rifiuto”. Così usano il fondo di caffè come substrato di coltivazione, seminandoci le spore riproduttive e coltivando il tutto in modo naturale e senza l’utilizzo di prodotti chimici.
L’allevamento è organizzato tutto in verticale, su supporti sospesi, riducendo lo spazio del suolo, e utilizzando così soltanto la metà dello spazio destinato normalmente alla coltivazione della stessa quantità di funghi.
Inoltre il fondo di caffè non ha bisogno di essere pastorizzato, con un notevole risparmio di energia, e dopo l’uso torna al suolo come compost.
Possiamo dire che tutte le tipologie innovative di prodotto appena illustrate sono applicabili e riadattabili a un contesto commerciale come quello dei supermercati o singoli negozi. Soprattutto l’ultima “innovazione alimentare” la quale sfrutterebbe le consolidate formule supermaket + bar di catena.
Innovazione nel campo alimentare: due esempi di efficienza tecnologica nella grande distribuzione
Abbiamo iniziato questo articolo partendo dalle varie tappe di filiera, per passare poi in rassegna i cibi innovativi, adesso eccoci giunti all’ultimo punto: le nuove tecnologie al servizio della GDO.
EDEN
Il primo caso è quello di Eden, l’App in grado di monitorare la freschezza dei prodotti alimentari agricoli, garantendone il controllo dal campo allo scaffale del supermercato.
La new entry tecnologica è il risultato di una competizione interna in casa Walmart, un hackathon tra gli ingegneri, voluta dal marchio per ridurre gli sprechi e aumentare l’efficienza nell’approvvigionamento e distribuzione dei prodotti freschi.
Ha vinto la proposta più brillante: un database di informazioni contenente sia gli standard qualitativi alimentari stabiliti dall’USDA (il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti d’America) sia quelli interni utilizzati da Walmart, ancora più restrittivi.
I dati così raccolti hanno permesso di creare un algoritmo della freschezza che consente al colosso americano della grande distribuzione (e suoi associati) di prevedere con esattezza il momento in cui un carico di frutta o verdura inizia a deperire, e grazie ai valori rilevati (ci si riferisce ai fattori che compromettono la conservabilità media dei prodotti freschi: esposizione alla luce, temperatura e umidità) ricalcola le condizioni ottimali di conservabilità suggerendo l’itinerario e il punto vendita più vicino.
AMAZON GO
Il secondo caso è quello di Amazon Go, il primo negozio senza linee (percorsi obbligatori nel punto vendita) e senza casse (si paga da mobile utilizzando un’App e saldando il conto caricato sul proprio account Amazon) nel quale c’è un’ampia scelta di prodotti: molta importanza hanno quelli degli artigiani locali (pasticceria, panetteria e cibi pronti).
Soluzione tecnologica nata “spingendo i confini della visione artificiale” (tecnologie utilizzate nelle auto a guida autonoma: visione artificiale, fusione dei sensori e apprendimento profondo) e pensando alla creazione di un’esperienza di acquisto vissuta in piena libertà.
Cosa ne pensi di queste nuove tecnologie a favore dell’intero processo alimentare, dalla filiera al supermercato vero e proprio? Possono essere un importante strumento per la GDO? Scrivicelo nei commenti!